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Il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, essere giornalista richiede grande coraggio

Il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa ha inviato questo articolo a Ossigeno per la Giornata della libertà di informazione del 3 maggio

di Nils Muiznieks – Oggi essere giornalista richiede grande coraggio. Negli ultimi dodici mesi, nel mondo, centinaia di giornalisti, fotografi e cineoperatori sono stati uccisi, feriti, sequestrati, minacciati o querelati. L’Europa non fa eccezione: tendenze preoccupanti erodono la libertà di stampa anche qui. Dobbiamo cambiare rotta.

Una stampa libera è un fattore essenziale di una sana democrazia perché dà un forte contributo alla protezione di tutti gli altri diritti umani. Casi di tortura, discriminazione, corruzione o abuso di potere sono spesso svelati grazie al coraggioso lavoro dei giornalisti. Raccontare la verità è spesso il primo passo per rimediare alle violazioni dei diritti umani e far sì che i governi rendano conto delle loro azioni.

La libertà di stampa è un diritto umano sancito in leggi nazionali e internazionali, in particolare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che protegge anche l’integrità fisica dei giornalisti. Eppure, l’Europa non è luogo sicuro per la stampa.

Tra le minacce più diffuse c’è la violenza della polizia nei confronti dei giornalisti che coprono le manifestazioni. Ho sollevato la questione con il governo turco sùbito dopo gli eventi di Gezi Park durante i quali la polizia ha fatto uso eccessivo della forza contro manifestanti e giornalisti, alcuni dei quali sono stati feriti o hanno subito il danneggiamento delle loro attrezzature. Il giornalista Ahmet Şık, che compare in due processi separati per le opinioni espresse, è stato ferito con candelotti lacrimogeni sparati da distanza ravvicinata in due riprese, il che fa sospettare che sia stato preso di mira.

In Ucraina, con l’acuirsi delle tensioni durante le manifestazioni di febbraio, oltre cento giornalisti sono stati aggrediti, anche con granate assordanti e proiettili di gomma. Mentre ero lì, ho ascoltato storie di grave violenza fisica sui giornalisti, cui si è anche sparato agli occhi o alle gambe.

Anche in Bosnia alcuni giornalisti e operatori televisivi, che coprivano le manifestazioni contro la corruzione e l’austerità, sono stati vittime della violenza della polizia, come Branislav Pavicic, picchiato da un poliziotto mentre effettuava riprese a Tuzla.

Il controllo delle manifestazioni da parte della polizia ha interferito con la libertà di stampa anche in Spagna, dove a marzo un gruppo di giornalisti e fotografi è stato picchiato dalla polizia nonostante essi si fossero identificati come membri della stampa.

I giornalisti sono il bersaglio anche di attori non statali. Come riferitomi da Ossigeno per l’Informazione, un osservatorio che svolge un prezioso lavoro di sensibilizzazione sulla libertà di stampa in Italia, oltre 1,800 giornalisti nella Penisola sono stati vittime negli ultimi sette anni di qualche tipo di violenza, tra cui incendio doloso e minacce. Nei primi tre mesi del 2014, sono stati segnalati più di 150 casi: la media è superiore a quella degli anni precedenti.

L’insicurezza e l’impunità per i crimini commessi contro i giornalisti sono un problema grave anche in Montenegro, come ho notato durante la mia visita a marzo. Mentre diversi casi del passato sono ancora irrisolti, compreso l’omicidio di Duško Jovanović, capo redattore e proprietario del quotidiano Dan, nuovi casi si aggiungono. Tra le vittime più recenti c’è Lidija Nikčević, un’altra giornalista di Dan, brutalmente picchiata da aggressori mascherati armati di una mazza da baseball.

In Bulgaria all’inizio di aprile dei giornalisti hanno organizzato una manifestazione di solidarietà per Genka Shikerova, la giornalista della bTV, dopo che la sua auto aziendale è stato incendiata davanti casa. La sua auto personale aveva subito la stessa sorte lo scorso settembre.

A febbraio, Vyacheslav Veremyi, giornalista del quotidiano ucraino Vesti, è stato ucciso da ignoti, durante una manifestazione, con un colpo d’arma al petto.

Le strade però non sono l’unico campo di battaglia: a loro si aggiungono i tribunali. Nella maggior parte dei paesi europei, diffamazione o calunnia sono ancora dei reati. Ciò è difficilmente conciliabile con le norme internazionali. Spesso anche le leggi sul segreto di Stato o sul terrorismo sono invocate per imbavagliare i giornalisti.

In Azerbaijan, dove le citazioni in giudizio sono moneta corrente per i giornalisti che criticano le autorità, nove di loro sono in carcere per le opinioni espresse. Molti di più sono dietro le sbarre in Turchia, due in Russia, mentre nella “ex Repubblica jugoslava di Macedonia” la detenzione di Tomsilav Kezarovski, del giornale Nova Makedonija, ha evidenziato più di altri casi il grado d’interferenza politica con la libertà di stampa.

Cause intentate contro i giornalisti sono pratica corrente anche in Italia, dove la legge sulla diffamazione è ancora quella introdotta dal regime fascista. È in base a questa legge, adesso in fase di revisione al Senato, che ancora oggi molti giornalisti sono querelati e talvolta condannati a pene detentive, come Francesco Gangemi, giornalista di 79 anni, condannato lo scorso ottobre a due anni di carcere per diffamazione e falsa testimonianza.

In Slovenia, un altro paese in cui la diffamazione è reato, la Procura ha incriminato ad aprile Anuška Delić, giornalista di Delo, per la pubblicazione nel 2011 di materiale considerato secretato, durante una ricerca sulla crescita di gruppi estremisti nel Paese e sul coinvolgimento di membri dell’esercito e della polizia con attività di questi gruppi. Rischia fino a tre anni di carcere.

Anche il codice penale greco consente l’arresto di giornalisti in caso di diffamazione. Benché alcune direttive richiedano alla polizia di informare il pubblico ministero prima di arrestare un giornalista per diffamazione, la realtà mostra che spesso ciò non avviene. Di recente, a seguito di una causa intentata da una deputata contro alcuni giornalisti che avevano criticato le sue dichiarazioni, la polizia è andata a cercarli nelle redazioni senza il previo consenso del pubblico ministero. Ha trovato soltanto una giornalista di Eleftheros Typos che ha trascorso una notte in commissariato, prima di essere liberata da un giudice.

Un altro paese dell’UE in cui leggi inadeguate minacciano la libertà di stampa è la Croazia. Secondo il nuovo codice penale, chiunque, anche un giornalista, può essere condannato per aver causato umiliazione, poco importa se ciò che ha detto è vero. È il caso di Slavica Lukić, giornalista di Jutarnji list, condannata in primo grado a pagare 4,000 euro per aver svelato un caso di malversazione.

Tali multe, spesso sproporzionate, costituiscono un’altra diffusa minaccia alla libertà di stampa. In vari Paesi europei, indennizzi eccessivi richiesti con sentenze civili hanno messo alcune testate e alcuni giornalisti sotto forte pressione, mettendone a rischio la sopravvivenza economica.

Infine, le zone di conflitto rimangono luoghi pericolosi per i giornalisti. Il caso della Crimea è indicativo: membri della stampa sono stati rapiti, minacciati, il loro accesso è stato impedito, sono stati derubati del loro materiale da persone armate. Le tensioni tra Russia e Ucraina hanno prodotto ripercussioni sui media in entrambi i paesi. In Russia le pressioni sui giornalisti indipendenti sono aumentate, mentre l’Ucraina ha impedito ad alcuni giornalisti russi di entrare nel paese, dopo la decisione di bloccare un certo numero di emittenti televisive russe. Ciò ha innescato nuove tensioni. Recentemente nell’est dell’Ucraina, alcuni giornalisti sono stati minacciati e aggrediti da assalitori mascherati e armati.

Potrei aggiungere molti altri esempi che dimostrano quanto la libertà di stampa in Europa si stia deteriorando. Se i Paesi europei vogliono rispettare l’obbligo di garantire la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti, è necessaria un’urgente inversione di rotta.

Un primo passo è liberare tutti i giornalisti incarcerati a causa delle opinioni espresse e ripulire la fedina penale di quelli condannati a causa di ciò che hanno riferito.

In secondo luogo, la legislazione deve cambiare. Per i casi di diffamazione e calunnia si devono applicare soltanto sanzioni civili proporzionate, perché il semplice rischio di finire in prigione o di pagare indennizzi sproporzionati induce la stampa all’autocensura.

Inoltre è fondamentale sradicare l’impunità. Tutti i casi di violenza contro i giornalisti, compresi quelli che coinvolgono organi statali come la polizia, devono essere investigati efficacemente. Specifiche istruzioni e informazioni mirate alla protezione dei giornalisti devono essere fornite alla polizia.

Infine, politici, leader d’opinione e personalità pubbliche devono condannare sempre la violenza contro i giornalisti e devono adottare una soglia di tolleranza superiore di fronte alle critiche e allo scrutinio pubblico, astenendosi da reazioni violente o intimidatorie. Ciò è fondamentale per aiutare la stampa a operare liberamente.

È sconcertante che l’Europa del XXI secolo abbia ancora bisogno di tali raccomandazioni. Tuttavia, questa deplorevole situazione non deve indebolire la nostra determinazione a difendere la libertà di stampa. Difendendo i giornalisti e mantenendo una stampa libera rendiamo la democrazia più forte.

     

– See more at: http://www.ossigenoinformazione.it/2014/04/nils-muiznieks-giu-le-mani-da…

Il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa ha inviato questo articolo a Ossigeno per la Giornata della libertà di informazione del 3 maggio

di Nils Muiznieks – Oggi essere giornalista richiede grande coraggio. Negli ultimi dodici mesi, nel mondo, centinaia di giornalisti, fotografi e cineoperatori sono stati uccisi, feriti, sequestrati, minacciati o querelati. L’Europa non fa eccezione: tendenze preoccupanti erodono la libertà di stampa anche qui. Dobbiamo cambiare rotta.

Una stampa libera è un fattore essenziale di una sana democrazia perché dà un forte contributo alla protezione di tutti gli altri diritti umani. Casi di tortura, discriminazione, corruzione o abuso di potere sono spesso svelati grazie al coraggioso lavoro dei giornalisti. Raccontare la verità è spesso il primo passo per rimediare alle violazioni dei diritti umani e far sì che i governi rendano conto delle loro azioni.

La libertà di stampa è un diritto umano sancito in leggi nazionali e internazionali, in particolare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che protegge anche l’integrità fisica dei giornalisti. Eppure, l’Europa non è luogo sicuro per la stampa.

Tra le minacce più diffuse c’è la violenza della polizia nei confronti dei giornalisti che coprono le manifestazioni. Ho sollevato la questione con il governo turco sùbito dopo gli eventi di Gezi Park durante i quali la polizia ha fatto uso eccessivo della forza contro manifestanti e giornalisti, alcuni dei quali sono stati feriti o hanno subito il danneggiamento delle loro attrezzature. Il giornalista Ahmet Şık, che compare in due processi separati per le opinioni espresse, è stato ferito con candelotti lacrimogeni sparati da distanza ravvicinata in due riprese, il che fa sospettare che sia stato preso di mira.

In Ucraina, con l’acuirsi delle tensioni durante le manifestazioni di febbraio, oltre cento giornalisti sono stati aggrediti, anche con granate assordanti e proiettili di gomma. Mentre ero lì, ho ascoltato storie di grave violenza fisica sui giornalisti, cui si è anche sparato agli occhi o alle gambe.

Anche in Bosnia alcuni giornalisti e operatori televisivi, che coprivano le manifestazioni contro la corruzione e l’austerità, sono stati vittime della violenza della polizia, come Branislav Pavicic, picchiato da un poliziotto mentre effettuava riprese a Tuzla.

Il controllo delle manifestazioni da parte della polizia ha interferito con la libertà di stampa anche in Spagna, dove a marzo un gruppo di giornalisti e fotografi è stato picchiato dalla polizia nonostante essi si fossero identificati come membri della stampa.

I giornalisti sono il bersaglio anche di attori non statali. Come riferitomi da Ossigeno per l’Informazione, un osservatorio che svolge un prezioso lavoro di sensibilizzazione sulla libertà di stampa in Italia, oltre 1,800 giornalisti nella Penisola sono stati vittime negli ultimi sette anni di qualche tipo di violenza, tra cui incendio doloso e minacce. Nei primi tre mesi del 2014, sono stati segnalati più di 150 casi: la media è superiore a quella degli anni precedenti.

L’insicurezza e l’impunità per i crimini commessi contro i giornalisti sono un problema grave anche in Montenegro, come ho notato durante la mia visita a marzo. Mentre diversi casi del passato sono ancora irrisolti, compreso l’omicidio di Duško Jovanović, capo redattore e proprietario del quotidiano Dan, nuovi casi si aggiungono. Tra le vittime più recenti c’è Lidija Nikčević, un’altra giornalista di Dan, brutalmente picchiata da aggressori mascherati armati di una mazza da baseball.

In Bulgaria all’inizio di aprile dei giornalisti hanno organizzato una manifestazione di solidarietà per Genka Shikerova, la giornalista della bTV, dopo che la sua auto aziendale è stato incendiata davanti casa. La sua auto personale aveva subito la stessa sorte lo scorso settembre.

A febbraio, Vyacheslav Veremyi, giornalista del quotidiano ucraino Vesti, è stato ucciso da ignoti, durante una manifestazione, con un colpo d’arma al petto.

Le strade però non sono l’unico campo di battaglia: a loro si aggiungono i tribunali. Nella maggior parte dei paesi europei, diffamazione o calunnia sono ancora dei reati. Ciò è difficilmente conciliabile con le norme internazionali. Spesso anche le leggi sul segreto di Stato o sul terrorismo sono invocate per imbavagliare i giornalisti.

In Azerbaijan, dove le citazioni in giudizio sono moneta corrente per i giornalisti che criticano le autorità, nove di loro sono in carcere per le opinioni espresse. Molti di più sono dietro le sbarre in Turchia, due in Russia, mentre nella “ex Repubblica jugoslava di Macedonia” la detenzione di Tomsilav Kezarovski, del giornale Nova Makedonija, ha evidenziato più di altri casi il grado d’interferenza politica con la libertà di stampa.

Cause intentate contro i giornalisti sono pratica corrente anche in Italia, dove la legge sulla diffamazione è ancora quella introdotta dal regime fascista. È in base a questa legge, adesso in fase di revisione al Senato, che ancora oggi molti giornalisti sono querelati e talvolta condannati a pene detentive, come Francesco Gangemi, giornalista di 79 anni, condannato lo scorso ottobre a due anni di carcere per diffamazione e falsa testimonianza.

In Slovenia, un altro paese in cui la diffamazione è reato, la Procura ha incriminato ad aprile Anuška Delić, giornalista di Delo, per la pubblicazione nel 2011 di materiale considerato secretato, durante una ricerca sulla crescita di gruppi estremisti nel Paese e sul coinvolgimento di membri dell’esercito e della polizia con attività di questi gruppi. Rischia fino a tre anni di carcere.

Anche il codice penale greco consente l’arresto di giornalisti in caso di diffamazione. Benché alcune direttive richiedano alla polizia di informare il pubblico ministero prima di arrestare un giornalista per diffamazione, la realtà mostra che spesso ciò non avviene. Di recente, a seguito di una causa intentata da una deputata contro alcuni giornalisti che avevano criticato le sue dichiarazioni, la polizia è andata a cercarli nelle redazioni senza il previo consenso del pubblico ministero. Ha trovato soltanto una giornalista di Eleftheros Typos che ha trascorso una notte in commissariato, prima di essere liberata da un giudice.

Un altro paese dell’UE in cui leggi inadeguate minacciano la libertà di stampa è la Croazia. Secondo il nuovo codice penale, chiunque, anche un giornalista, può essere condannato per aver causato umiliazione, poco importa se ciò che ha detto è vero. È il caso di Slavica Lukić, giornalista di Jutarnji list, condannata in primo grado a pagare 4,000 euro per aver svelato un caso di malversazione.

Tali multe, spesso sproporzionate, costituiscono un’altra diffusa minaccia alla libertà di stampa. In vari Paesi europei, indennizzi eccessivi richiesti con sentenze civili hanno messo alcune testate e alcuni giornalisti sotto forte pressione, mettendone a rischio la sopravvivenza economica.

Infine, le zone di conflitto rimangono luoghi pericolosi per i giornalisti. Il caso della Crimea è indicativo: membri della stampa sono stati rapiti, minacciati, il loro accesso è stato impedito, sono stati derubati del loro materiale da persone armate. Le tensioni tra Russia e Ucraina hanno prodotto ripercussioni sui media in entrambi i paesi. In Russia le pressioni sui giornalisti indipendenti sono aumentate, mentre l’Ucraina ha impedito ad alcuni giornalisti russi di entrare nel paese, dopo la decisione di bloccare un certo numero di emittenti televisive russe. Ciò ha innescato nuove tensioni. Recentemente nell’est dell’Ucraina, alcuni giornalisti sono stati minacciati e aggrediti da assalitori mascherati e armati.

Potrei aggiungere molti altri esempi che dimostrano quanto la libertà di stampa in Europa si stia deteriorando. Se i Paesi europei vogliono rispettare l’obbligo di garantire la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti, è necessaria un’urgente inversione di rotta.

Un primo passo è liberare tutti i giornalisti incarcerati a causa delle opinioni espresse e ripulire la fedina penale di quelli condannati a causa di ciò che hanno riferito.

In secondo luogo, la legislazione deve cambiare. Per i casi di diffamazione e calunnia si devono applicare soltanto sanzioni civili proporzionate, perché il semplice rischio di finire in prigione o di pagare indennizzi sproporzionati induce la stampa all’autocensura.

Inoltre è fondamentale sradicare l’impunità. Tutti i casi di violenza contro i giornalisti, compresi quelli che coinvolgono organi statali come la polizia, devono essere investigati efficacemente. Specifiche istruzioni e informazioni mirate alla protezione dei giornalisti devono essere fornite alla polizia.

Infine, politici, leader d’opinione e personalità pubbliche devono condannare sempre la violenza contro i giornalisti e devono adottare una soglia di tolleranza superiore di fronte alle critiche e allo scrutinio pubblico, astenendosi da reazioni violente o intimidatorie. Ciò è fondamentale per aiutare la stampa a operare liberamente.

È sconcertante che l’Europa del XXI secolo abbia ancora bisogno di tali raccomandazioni. Tuttavia, questa deplorevole situazione non deve indebolire la nostra determinazione a difendere la libertà di stampa. Difendendo i giornalisti e mantenendo una stampa libera rendiamo la democrazia più forte.

     

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Il Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa ha inviato questo articolo a Ossigeno per la Giornata della libertà di informazione del 3 maggio

di Nils Muiznieks

Oggi essere giornalista richiede grande coraggio. Negli ultimi dodici mesi, nel mondo, centinaia di giornalisti, fotografi e cineoperatori sono stati uccisi, feriti, sequestrati, minacciati o querelati. L’Europa non fa eccezione: tendenze preoccupanti erodono la libertà di stampa anche qui. Dobbiamo cambiare rotta.

Una stampa libera è un fattore essenziale di una sana democrazia perché dà un forte contributo alla protezione di tutti gli altri diritti umani. Casi di tortura, discriminazione, corruzione o abuso di potere sono spesso svelati grazie al coraggioso lavoro dei giornalisti. Raccontare la verità è spesso il primo passo per rimediare alle violazioni dei diritti umani e far sì che i governi rendano conto delle loro azioni.

La libertà di stampa è un diritto umano sancito in leggi nazionali e internazionali, in particolare la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che protegge anche l’integrità fisica dei giornalisti. Eppure, l’Europa non è luogo sicuro per la stampa.

Tra le minacce più diffuse c’è la violenza della polizia nei confronti dei giornalisti che coprono le manifestazioni. Ho sollevato la questione con il governo turco sùbito dopo gli eventi di Gezi Park durante i quali la polizia ha fatto uso eccessivo della forza contro manifestanti e giornalisti, alcuni dei quali sono stati feriti o hanno subito il danneggiamento delle loro attrezzature. Il giornalista Ahmet Şık, che compare in due processi separati per le opinioni espresse, è stato ferito con candelotti lacrimogeni sparati da distanza ravvicinata in due riprese, il che fa sospettare che sia stato preso di mira.

In Ucraina, con l’acuirsi delle tensioni durante le manifestazioni di febbraio, oltre cento giornalisti sono stati aggrediti, anche con granate assordanti e proiettili di gomma. Mentre ero lì, ho ascoltato storie di grave violenza fisica sui giornalisti, cui si è anche sparato agli occhi o alle gambe.

Anche in Bosnia alcuni giornalisti e operatori televisivi, che coprivano le manifestazioni contro la corruzione e l’austerità, sono stati vittime della violenza della polizia, come Branislav Pavicic, picchiato da un poliziotto mentre effettuava riprese a Tuzla.

Il controllo delle manifestazioni da parte della polizia ha interferito con la libertà di stampa anche in Spagna, dove a marzo un gruppo di giornalisti e fotografi è stato picchiato dalla polizia nonostante essi si fossero identificati come membri della stampa.

I giornalisti sono il bersaglio anche di attori non statali. Come riferitomi da Ossigeno per l’Informazione, un osservatorio che svolge un prezioso lavoro di sensibilizzazione sulla libertà di stampa in Italia, oltre 1,800 giornalisti nella Penisola sono stati vittime negli ultimi sette anni di qualche tipo di violenza, tra cui incendio doloso e minacce. Nei primi tre mesi del 2014, sono stati segnalati più di 150 casi: la media è superiore a quella degli anni precedenti.

L’insicurezza e l’impunità per i crimini commessi contro i giornalisti sono un problema grave anche in Montenegro, come ho notato durante la mia visita a marzo. Mentre diversi casi del passato sono ancora irrisolti, compreso l’omicidio di Duško Jovanović, capo redattore e proprietario del quotidiano Dan, nuovi casi si aggiungono. Tra le vittime più recenti c’è Lidija Nikčević, un’altra giornalista di Dan, brutalmente picchiata da aggressori mascherati armati di una mazza da baseball.

In Bulgaria all’inizio di aprile dei giornalisti hanno organizzato una manifestazione di solidarietà per Genka Shikerova, la giornalista della bTV, dopo che la sua auto aziendale è stato incendiata davanti casa. La sua auto personale aveva subito la stessa sorte lo scorso settembre.

A febbraio, Vyacheslav Veremyi, giornalista del quotidiano ucraino Vesti, è stato ucciso da ignoti, durante una manifestazione, con un colpo d’arma al petto.

Le strade però non sono l’unico campo di battaglia: a loro si aggiungono i tribunali. Nella maggior parte dei paesi europei, diffamazione o calunnia sono ancora dei reati. Ciò è difficilmente conciliabile con le norme internazionali. Spesso anche le leggi sul segreto di Stato o sul terrorismo sono invocate per imbavagliare i giornalisti.

In Azerbaijan, dove le citazioni in giudizio sono moneta corrente per i giornalisti che criticano le autorità, nove di loro sono in carcere per le opinioni espresse. Molti di più sono dietro le sbarre in Turchia, due in Russia, mentre nella “ex Repubblica jugoslava di Macedonia” la detenzione di Tomsilav Kezarovski, del giornale Nova Makedonija, ha evidenziato più di altri casi il grado d’interferenza politica con la libertà di stampa.

Cause intentate contro i giornalisti sono pratica corrente anche in Italia, dove la legge sulla diffamazione è ancora quella introdotta dal regime fascista. È in base a questa legge, adesso in fase di revisione al Senato, che ancora oggi molti giornalisti sono querelati e talvolta condannati a pene detentive, come Francesco Gangemi, giornalista di 79 anni, condannato lo scorso ottobre a due anni di carcere per diffamazione e falsa testimonianza.

In Slovenia, un altro paese in cui la diffamazione è reato, la Procura ha incriminato ad aprile Anuška Delić, giornalista di Delo, per la pubblicazione nel 2011 di materiale considerato secretato, durante una ricerca sulla crescita di gruppi estremisti nel Paese e sul coinvolgimento di membri dell’esercito e della polizia con attività di questi gruppi. Rischia fino a tre anni di carcere.

Anche il codice penale greco consente l’arresto di giornalisti in caso di diffamazione. Benché alcune direttive richiedano alla polizia di informare il pubblico ministero prima di arrestare un giornalista per diffamazione, la realtà mostra che spesso ciò non avviene. Di recente, a seguito di una causa intentata da una deputata contro alcuni giornalisti che avevano criticato le sue dichiarazioni, la polizia è andata a cercarli nelle redazioni senza il previo consenso del pubblico ministero. Ha trovato soltanto una giornalista di Eleftheros Typos che ha trascorso una notte in commissariato, prima di essere liberata da un giudice.

Un altro paese dell’UE in cui leggi inadeguate minacciano la libertà di stampa è la Croazia. Secondo il nuovo codice penale, chiunque, anche un giornalista, può essere condannato per aver causato umiliazione, poco importa se ciò che ha detto è vero. È il caso di Slavica Lukić, giornalista di Jutarnji list, condannata in primo grado a pagare 4,000 euro per aver svelato un caso di malversazione.

Tali multe, spesso sproporzionate, costituiscono un’altra diffusa minaccia alla libertà di stampa. In vari Paesi europei, indennizzi eccessivi richiesti con sentenze civili hanno messo alcune testate e alcuni giornalisti sotto forte pressione, mettendone a rischio la sopravvivenza economica.

Infine, le zone di conflitto rimangono luoghi pericolosi per i giornalisti. Il caso della Crimea è indicativo: membri della stampa sono stati rapiti, minacciati, il loro accesso è stato impedito, sono stati derubati del loro materiale da persone armate. Le tensioni tra Russia e Ucraina hanno prodotto ripercussioni sui media in entrambi i paesi. In Russia le pressioni sui giornalisti indipendenti sono aumentate, mentre l’Ucraina ha impedito ad alcuni giornalisti russi di entrare nel paese, dopo la decisione di bloccare un certo numero di emittenti televisive russe. Ciò ha innescato nuove tensioni. Recentemente nell’est dell’Ucraina, alcuni giornalisti sono stati minacciati e aggrediti da assalitori mascherati e armati.

Potrei aggiungere molti altri esempi che dimostrano quanto la libertà di stampa in Europa si stia deteriorando. Se i Paesi europei vogliono rispettare l’obbligo di garantire la libertà di stampa e la sicurezza dei giornalisti, è necessaria un’urgente inversione di rotta.

Un primo passo è liberare tutti i giornalisti incarcerati a causa delle opinioni espresse e ripulire la fedina penale di quelli condannati a causa di ciò che hanno riferito.

In secondo luogo, la legislazione deve cambiare. Per i casi di diffamazione e calunnia si devono applicare soltanto sanzioni civili proporzionate, perché il semplice rischio di finire in prigione o di pagare indennizzi sproporzionati induce la stampa all’autocensura.

Inoltre è fondamentale sradicare l’impunità. Tutti i casi di violenza contro i giornalisti, compresi quelli che coinvolgono organi statali come la polizia, devono essere investigati efficacemente. Specifiche istruzioni e informazioni mirate alla protezione dei giornalisti devono essere fornite alla polizia.

Infine, politici, leader d’opinione e personalità pubbliche devono condannare sempre la violenza contro i giornalisti e devono adottare una soglia di tolleranza superiore di fronte alle critiche e allo scrutinio pubblico, astenendosi da reazioni violente o intimidatorie. Ciò è fondamentale per aiutare la stampa a operare liberamente.

È sconcertante che l’Europa del XXI secolo abbia ancora bisogno di tali raccomandazioni. Tuttavia, questa deplorevole situazione non deve indebolire la nostra determinazione a difendere la libertà di stampa. Difendendo i giornalisti e mantenendo una stampa libera rendiamo la democrazia più forte.

 

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