Nel panorama mediatico contemporaneo, dominato dai social network e dalla velocità della comunicazione, distinguere tra verità e falsità è diventato un compito sempre più arduo. Le Fake News, un tempo considerate semplici “bufale”, oggi rappresentano un fenomeno capace di condizionare opinioni, polarizzare il dibattito pubblico e minare la fiducia nei mezzi di informazione tradizionali.
Tuttavia, dietro il termine ormai abusato di Fake News si nasconde una realtà più complessa, che richiede di distinguere tra la manipolazione intenzionale del falso e la diffusione involontaria di notizie errate. Due forme diverse di distorsione dell’informazione che gli studiosi chiamano disinformazione e misinformazione.
La differenza tra disinformazione e misinformazione
La disinformazione è la produzione deliberata di contenuti falsi, realizzati con l’obiettivo di orientare l’opinione pubblica, screditare persone o istituzioni, o trarre vantaggi politici ed economici. È un atto consapevole e organizzato, che trova nei social media un terreno fertile per la diffusione virale.
La misinformazione, invece, nasce da errori, leggerezze o mancanza di verifica delle fonti. Non c’è volontà di ingannare, ma il risultato può essere altrettanto dannoso: la propagazione di notizie infondate che finiscono per alimentare confusione e sfiducia.
Il “disordine dell’informazione”
Il concetto di Fake News è stato giudicato da molti studiosi troppo limitato per descrivere la complessità della comunicazione digitale.
Nel rapporto “Information Disorder: Toward an Interdisciplinary Framework for Research and Policy Making”, commissionato dal Consiglio d’Europa, Claire Wardle e Hossein Derakhshan propongono il termine “information disorder”, ovvero disturbo dell’informazione.
Secondo i due autori, il disordine informativo si manifesta in tre forme principali:
Disinformazione – contenuti falsi diffusi consapevolmente;
Misinformazione – contenuti falsi diffusi in modo involontario;
Malinformazione – informazioni vere ma usate fuori contesto o con intento diffamatorio.
Una classificazione che mette in luce come il problema non sia soltanto la falsità dei contenuti, ma anche il modo in cui le informazioni vengono prodotte, condivise e recepite.
Come contrastare questi fenomeni
Il rapporto del Consiglio d’Europa propone alcune misure concrete per ridurre il fenomeno dell’inquinamento dell’informazione.
Tra queste, la necessità di curare maggiormente titoli e sottotitoli, spesso responsabili di generare fraintendimenti, e l’importanza del debunking, la pratica di smascherare e correggere pubblicamente le notizie false.
Ma la sfida più importante è quella educativa: diffondere una maggiore media literacy, cioè la capacità di leggere e interpretare criticamente le notizie. Un obiettivo che coinvolge scuole, università e istituzioni, chiamate a formare cittadini consapevoli e responsabili.
Anche le piattaforme digitali hanno un ruolo cruciale: dovrebbero garantire maggiore trasparenza sugli algoritmi e collaborare con enti di verifica indipendenti per arginare la diffusione del falso.
Una responsabilità collettiva
Combattere le Fake News non significa solo smascherare le bugie, ma preservare la qualità del discorso pubblico.
In un’epoca in cui la rapidità della comunicazione supera la verifica dei fatti, l’informazione rischia di perdere la sua funzione più nobile: quella di costruire conoscenza e favorire il confronto civile.
Riconoscere la differenza tra disinformazione e misinformazione è il primo passo per ricostruire un rapporto di fiducia tra i media e i cittadini.
Perché, come ricordano molti analisti, la vera sfida non è soltanto scoprire ciò che è falso, ma imparare a riconoscere ciò che è vero.
Immagine di copertina: Il grafico che rappresenta la differenza tra Mis-informazione, Dis-Informazione e Mal-informazione è pubblicato da https://firstdraftnews.com/
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