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Egitto, bilancio drammatico dell’attentato alla Moschea nel Sinai

In un drammatico discorso televisivo alla nazione Sisi ha annunciato una risposta ancora più forte nella guerra che l’Egitto sta compiendo contro il terrorismo per conto “di tutto il mondo”.

E ieri sera ha ordinato i primi raid aerei e colpi di artiglieria che hanno colpito di due camion che trasportavano almeno 15 persone “coinvolte nell’attentato”.

Nell’ambito di quella che è già stata ribattezzata “operazione-vendetta per i martiri”, c’è da attendersi quindi una recrudescenza delle operazioni militari che vengono condotte con frequenza nel nord della penisola di un Egitto già in stato d’emergenza dopo gli attentati alle chiese cristiane dello scorso aprile.

I terroristi sono arrivati a bordo di 4 fuoristrada, hanno piazzato ordigni in una moschea sufi nel Sinai, li hanno fatti esplodere e hanno iniziato a sparare sui fedeli. Compiendo una vera e propria carneficina che ha lasciato a terra almeno 235 morti e ha ferito più di 100 persone in quello che per ora è il più sanguinoso attacco che ha colpito l’Egitto.

A essere travolto dalla furia terroristica è stato un luogo di culto sufi, un orientamento mistico dell’islam che lo Stato islamico considera apostata ed eretico, nei pressi della cittadina di Bir al-Abd.

Nessuno ancora ha rivendicato ma i sospetti si puntano sull’Isis. I jihadisti hanno aperto il fuoco sui circa 300 fedeli riuniti nella moschea per la preghiera del venerdì con armi automatiche ma anche lanciarazzi. Foto mostrano anche segnali di un’esplosione all’interno del luogo di culto di Al Rawdah che il commando ha assediato, bloccando le vie di fuga dei fedeli terrorizzati, sparando anche contro le ambulanze accorse. Un attacco pianificato, mirato probabilmente anche contro il il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi. Che non ha tardato a dirsi pronto ad una risposta “brutale”.

La tribù Al-Sawarka, teatro della strage, aveva annunciato la propria partecipazione alla lotta contro l’Isis a fianco dell’esercito.

Concentrato soprattutto nell’angolo nord-est del Sinai, al confine con la Striscia di Gaza, da oltre quattro anni e mezzo è in corso un conflitto a bassa intensità tra forze di sicurezza egiziane e terroristi dello Stato islamico.

A combattere sono gli ex “Ansar Beit el-Maqdes”, i “Partigiani di Gerusalemme”, il principale gruppo jihadista egiziano basato nella penisola e ribattezzatosi “Stato del Sinai” nel quadro di un’alleanza affiliazione con l’Isis annunciata nel novembre 2014.

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