Editoria

La trasformazione del giornalismo americano, il rapporto del Pew Research Center’s Journalism Project


Il giornalismo americano sta cambiando profondamente con le nuove tecnologie, una trasformazione che genera nuove opportunità. Secondo il rapporto State of the News Media 2014′ diffuso  dal Pew Research Center’s Journalism Project, le novità sono tante. Eccole nella sintesi

I player digitali sono diventati protagonisti del panorama mediatico, portando know-how tecnologico e nuovo denaro e attirando a sè i migliori talenti. BuzzFeed, in passato deriso per i contenuti visti come ‘click esca’, ora ha una redazione di 170 giornalisti, tra cui grandi nomi come il vincitore del Premio Pulitzer Mark Schoofs, ed è il tipo di posto dove Paul Steiger di ProPublica lavorerebbe volentieri se fosse giovane. Mashable ha raggiunto un organico di 70 persone ed ha adescato anche l’ex del New York Times Jim Roberts, assegnandogli la poltrona di direttore esecutivo e chief content officer. Nel gennaio di quest’anno, poi, Ezra Klein ha lasciato il Washington Post per Vox, che diventerà la nuova sede del suo modello di giornalismo.

Nuove fonti di sostentamento si stanno facendo largo nel mondo delle news. Una nuova generazione di imprenditori – come Jeff Bezos, John Henry e Pierre Omidyar – sta investendo il proprio denaro nel settore, in alcuni casi creando realtà del tutto nuove e in altri cercando invece di risollevare quelle di lunga data. Oltre ad avere degli ottimi budget, si tratta perlopiù di esperti del settore tech e outsider dell’informazione.
Parallelamente, sono cresciuti anche i finanziamenti e le donazioni. Nelle ultime settimane la Jerome L. Greene Foundation ha annunciato una sovvenzione di 10 milioni di dollari a favore della New York Public Radio per aiutarla a sviluppare le attività digitali.

Quest’anno ha anche consolidato l’esplosione dei social media e dei dispositivi mobili nel campo delle news: la metà degli utenti di Facebook arriva alle notizie anche se non le ha cercate. In crescita anche i video online. Il 50% di coloro che guardano un qualche tipo di video su internet guarda video news, e ancora una volta i giovani costituiscono la fetta più ampia di spettatori.

Si contano circa 5mila posti di lavoro professionale a tempo pieno in quasi 500 testate digitali, molti dei quali sono stati creati negli ultimi cinque o sei anni. Gli impieghi nei giornali tradizionali sono invece tutt’altro che sicuri. Il lavoro professionale a tempo pieno nelle redazioni è sceso di un altro 6,4% nel 2012, destinato a diminuire ancora nel 2013. Gannett ad esempio intende tagliare 400 posti di lavoro sui giornali, mentre Tribune Co. ne ha annunciati 700 (non tutti in redazione).

Ma le nuove entrate provenienti da venture capitalist, investitori individuali e imprese esterne ai media rappresentano solo un’esigua parte del sostegno al giornalismo professionale. E’ infatti dalla pubblicità tradizionale su stampa e televisione che deriva ancora più della metà delle entrate, benchè gli investimenti sulla stampa siano in rapido declino. Nonostante le nuove piccole fonti di reddito come gli abbonamenti digitali e le conferenze, i ricavi pubblicitari dei giornali nel 2012 (l’ultimo anno in cui sono disponibili dati completi) sono scesi del 52% rispetto al 2003. Anche per la pubblicità sulla tv, seppur stabile per ora, si prospetta un futuro incerto man mano che cresce il mercato dei video online. Ad ogni modo, la maggior parte dei nuovi flussi di entrate non deriva dal prodotto-notizia di per sè.

Ci sono stati alcuni eventi nel corso dell’ultimo anno per il quale l’impatto sui cittadini è ancora poco chiaro. La televisione locale, che rimane la fonte primaria di notizie per gli adulti americani, ha visto il suo pubblico aumentare per la prima volta in cinque anni. Allo stesso tempo, però, rispetto al 2012 sono calati i canali che producono notizie originali, principalmente a causa di acquisizioni che hanno messo nelle mani di poche società il controllo di più emittenti. Un quarto delle 952 emittenti televisive statunitensi che trasmettono telegiornali non producono i loro notiziari internamente. Le conseguenze variano in base ai punti di vista: da un lato è aumentato il pubblico potenzialmente raggiungibile, anche se il tg è lo stesso che va in onda su un’altra stazione locale. Dall’altro gli organi di informazione hanno ridotto il personale di produzione per contenere i costi.

Nel campo dell’informazione digitale, la sovrapposizione tra pubbliche relazioni e notizie rilevata già l’anno scorso è diventata ancora più pronunciata. Uno degli ambiti in cui si sperimentano nuove modalità di guadagno è infatti quello dei contenuti online pagati dagli inserzionisti – ma spesso scritti da giornalisti –  pubblicati talvolta in modo poco distinguibile dalle notizie giornalistiche. Sulla scia dell’Atlantic e di Mashable, la pubblicità nativa ha preso piede rapidamente nel 2013. Il New York Times, il Washington Post e più di recente il Wall Street Journal hanno cominciato o annunciato l’intenzione di attivare parte del personale su questo fronte, in genere all’interno  di una nuova ‘divisione di contenuti personalizzati’. EMarketer prevede che la spesa per il native advertising raggiungerà i 2,85 miliardi di dollari entro il 2014.

Sul native adv molte case editrici inizialmente procedevano con cautela. Gerard Baker del Wall Street Journal, ad esempio, l’ha descritto come una sorta di ‘Faustian pact’. Alla fine, però, sono arrivate quasi tutte alla stessa conclusione, dichiarandosi fiduciose sul fatto che i lettori apprezzeranno allo stesso modo sia i contenuti sponsorizzati che le notizie prodotte dai giornalisti.

Nonostante l’elevato consumo di notizie da parte degli utenti di Facebook, le ultime ricerche del Pew Research dicono che questi consumatori hanno livelli piuttosto bassi di coinvolgimento con i siti. Un’altra domanda che incombe sugli sviluppi dei social media è infatti se il processo di auto-selezione e i feed algoritmici stiano restringendo o meno la varietà di informazione con cui gli americani entrano in contatto.

Una delle più grandi storie dell’anno, i documenti della Nsa trapelati da Edward Snowden, ha puntato i riflettori  su un’altra area di sfida per il giornalismo nell’era digitale: il  facile accesso ai contenuti web-based.

Già l’anno scorso the State of the News Media Report aveva toccato un tasto dolente mettendo nero su bianco i continui cali nei media mainstream, che hanno avuto conseguenze sia sull’offerta che sulla soddisfazione del pubblico. Molti dei loro problemi esistono ancora, alcuni si sono acuiti e altri sono emersi. Eppure c’è la percezione che qualcosa di importante, forse anche di un cambio delle carte in tavola, stia succedendo.

La relazione annuale di quest’anno, giunta all’11esima edizione, si propone di esaminare questi cambiamenti – nei ricavi, nei posti di lavoro, nella tecnologia, nei contenuti, nel comportamento dei consumatori. E’ strutturata in modo un po’ diverso rispetto al passato per spiegare l’evoluzione del settore, la crescente influenza della tecnologia e i nuovi modi di condivisione dei dati. Il report di quest’anno comprende quattro relazioni di ricerca originali e due presentazioni grafiche, insieme ai principali risultati e a un database di tutte le statistiche raccolte negli anni passati. Da questi rapporti emergono sei principali tendenze:

  • Trenta dei più grandi gruppi di informazione solo digitali contano circa 3mila posti di lavoro e un raggio di  investimenti a copertura globale. Vice Media ha 35 uffici all’estero; The Huffington Post spera di crescere fino a 15 Paesi dagli 11 di quest’anno, BuzzFeed ha assunto un direttore straniero per sorvegliare la sua espansione in luoghi come Mumbai, Città del Messico, Berlino e Tokyo. Quarz ha giornalisti a Londra, Bangkok e Hong Kong e la sua redazione parla 19 lingue. E questo avviene mentre i media mainstream riducono la copertura globale di notizie. Il tempo che i telegiornali serali dedicano alle news oltreoceano nel 2013, infatti, è pari a meno della metà rispetto alla fine del 1980. I giornalisti internazionali che lavorano per i quotidiani Usa sono diminuiti del 24% dal 2003 al 2010.
  • Finora l’impatto di questi nuovi flussi di denaro nel settore dei media si riflette più nell’incoraggiare nuovi modi di raggiungere il pubblico piuttosto che nel costruire una nuova struttura sostenibile di entrate. Secondo le stime del rapporto, negli Stati Uniti l’industria dell’informazione introduce un ricavo appena superiore ai 60 miliardi di dollari. La pubblicità, almeno per ora, rappresenta circa i due terzi di questa torta, mentre i ricavi derivati dall’audience ne rappresentano più o meno un quarto e stanno crescendo sia in dollari totali che in share. Ma le entrate arrivano anche da altri tipi di contributi minori, come event hosting e web consulting (7%), oppure venture capital e filantropia (1%).
  • Lo sviluppo di social e mobile, oltre a trasformare i consumatori in protagonisti del processo, sta anche modificando le dinamiche di consumo. I dati rivelano che la metà degli utenti di social network condividono news, immagini o video e che quasi altrettanti (46%) discutono di questioni legate alle notizie o agli eventi sui social. I cittadini svolgono il ruolo di testimoni oculari in eventi di cronaca come l’attentato di Boston e la rivolta ucraina. Uno su dieci posta video news. E l’11% di tutti i lettori di news online inviano i propri contenuti (compresi video, foto, articoli o commenti) a siti web di notizie o blog.Sui social e sui siti le notizie sono mescolate con tutti gli altri tipi di contenuto, che le persone incontrano per caso. Questo significa che ci possono essere nuove opportunità per far sì che le notizie arrivino a target di utenti altrimenti poco raggiungibili. C’è da tener presente però che solo un terzo delle persone che ricevono notizie su Facebook seguono una testata giornalistica o un singolo giornalista e pochi sono anche quelli che vengono reindirizzati sul sito. Per gli editori questo significa che una singola strategia digitale non sarà sufficiente.
  • I nuovi modi di narrazione rappresentano sia una promessa che una sfida. Un’area di espansione è senza dubbio quella delle video news online. I ricavi pubblicitari legati ai video digitali (non solo video news) sono cresciuti del 44% dal 2012 al 2013 e si prevede che continueranno ad aumentare. Per ora, però, la portata di questo fenomeno è ancora piccola e rappresenta solo il 10% di tutte le entrate pubblicitarie digitali negli Usa. Solo su YouTube corre già il 20% di tali entrate e anche Facebook è ormai a pieno titolo nel mercato della pubblicità video digitale. In termini di audience appeal, un terzo degli adulti statunitensi guarda video news online, ma la crescita è rallentata notevolmente: dopo un aumento del 27% dal 2007 al 2009, infatti, nei quattro anni successivi la crescita è stata solo del 9%.Anche alcuni editori stanno facendo investimenti significativi nel settore dei video. L’ Huffington Post ha festeggiato il primo anniversario di HuffPost Live, Texas Tribune ha lanciato una raccolta fondi su Kickstarter al fine di acquistare attrezzature per coprire in diretta streaming l’elezione del governatore del Texas nel 2014, e l’azienda Vice nei primi mesi del 2014 ha lanciato un nuovo portale multimediale solo per notizie.
  •  La televisione locale, che raggiunge circa nove adulti su dieci negli Stati Uniti, ha subito un massiccio cambiamento nel 2013. Quasi 300 emittenti televisive locali sono passate di mano a un prezzo di circa 8 miliardi di dollari. Il numero di reti vendute è aumentato del 205% rispetto al 2012 e il valore è salito del 367%.Se tutte le vendite in sospeso andassero a buon fine, Sinclair Broadcasting da sola sarebbe proprietaria o fornirebbe servizi a 167 canali, raggiungendo quasi il 40% della popolazione degli Usa. Il ceo di Sinclair, David Smith, alla conferenza Ubs nel dicembre 2013 ha detto: “Mi piacerebbe avere l’80% del Paese se potessi farlo. Anzi mi piacerebbe avere il 90%”.A movimentare gli acquisti sono soprattutto le tasse che le emittenti locali pagano alle società via cavo per la ritrasmissione dei loro contenuti. Meredith (che possiede 13 stazioni) e Scripps (che ne possiede 19) hanno visto triplicate le loro entrate di ritrasmissione negli ultimi tre anni. In termini di programmazione, il risultato è che più stazioni nello stesso mercato sono gestite congiuntamente e condividono i contenuti e che sempre meno canali producono internamente i loro telegiornali. L’impatto finale sul consumatore è ancora difficile da valutare, ma il vantaggio economico per il proprietario è indiscutibile.
  •  I cambiamenti in corso nella popolazione americana hanno indubbiamente un impatto sull’industria dei media. In uno dei gruppi demografici in rapida crescita, quello ispanico, si stanno già vedendo le evoluzioni. La popolazione ispanica negli Stati Uniti è aumentata del 50% dal 2000 al 2012 a 53 milioni di persone, soprattutto a causa di nuove nascite e non dell’arrivo di altri immigrati. Come risultato, si ha che una quota crescente della popolazione ispanica è nata in America e sempre più persone parlano inglese abilmente. In risposta a queste tendenze, i media come Abc, Nbc, Fox e Huffington Post hanno avviato delle attività incentrate sulle news spagnole. Dal 2010 sono state lanciate sei testate ispaniche, anche se non tutte hanno avuto successo. All’inizio di quest’anno Nbc Latino – un’agenzia solo online – ha chiuso dopo soli 16 mesi, e Cnn Latino, che aveva sia un sito web e canale tv, è stato chiuso appena un anno dopo il suo lancio. Fusion, uno sforzo congiunto di Abc e Univision, si è invece trasformato da canale per i millennials ispanici a rete per i millennials più in generale, che sono al momento il più grande e diversificato gruppo generazionale degli Stati Uniti. E mentre i cambiamenti demografici all’interno gli Stati Uniti continuano, cambia anche il loro impatto sull’ecosistema notizia.

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