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“Domenikon 1943”. Un libro di Vincenzo Sinapi ricostruisce la strage di 140 civili uccisi dai militari italiani in Grecia

La strage di Domenikon, in Grecia, venne compiuta il 16 febbraio 1943,  78 anni fa,  dai militari delle forze italiane di occupazione: almeno 140 civili furono uccisi come (illegittima) reazione a un’imboscata partigiana in cui morirono nove Camicie nere. Tutti gli “uomini validi” di questo piccolo villaggio delle Tessaglia (vale a dire ogni maschio di età compresa tra i 14 e gli 80 anni) vennero sterminati. Fu una delle peggiori stragi compiute dai militari italiani nei Balcani. Il primo di una serie di eccidi che caratterizzarono la primavera del ’43, quando i militari dell’esercito monarchicofascista – in piena crisi di credibilità nei confronti delle popolazioni occupate e sotto scacco da parte delle bande partigiane greche – attuarono un criminale cambio di marcia nella strategia repressiva, passando dalla “logica della rappresaglia” alla “politica del massacro”.

Domenikon fu il primo atto di questa drammatica svolta. Ebbene, per tutte le stragi commesse dagli italiani – e per i morti di Domenikon – nessuno ha mai pagato. È un caso clamoroso di giustizia negata che si è trascinato fino ai nostri giorni e che, come si ricostruisce nel libro, è inconfessabilmente legato a quello dell’impunità assicurata ai criminali di guerra nazisti responsabili delle stragi commesse in Italia. La mancata celebrazione dei processi a questi ultimi, con i relativi fascicoli insabbiati nell’Armadio della vergogna, è stato il prezzo pagato per risparmiare i criminali di guerra italiani, salvaguardare l’onore dell’Esercito e il mito del “bravo soldato” alla Capitano Corelli.

Nel volume di Vincenzo Sinapi, “Domenikon 1943. Quando ad ammazzare sono gli italiani”, prefazione di Lutz Klinkhammer e Filippo Focardi (Mursia, Euro 18.00). – con documenti giudiziari inediti – si ricostruiscono preliminarmente questi aspetti, fino all’assoluzione di massa – prima politica, poi giudiziaria, nel ’51, per un cavillo procedurale – degli italiani responsabili dei crimini di guerra commessi nei territori occupati. Un’assoluzione alla quale si è accompagnato un processo di “rimozione” delle colpe della seconda Guerra mondiale rispetto alle quali, ancora oggi, manca una memoria critica collettiva, scevra da miti e stereotipi. Conoscere la vera storia della strage di Domenikon – che nessuno ha finora mai raccontato – aiuta ad aprire gli occhi su una pagina buia, ed ancora poco esplorata, della storia del nostro Paese. Anche perché l’eccidio di quei 150 innocenti ha avuto una sorte ancora più infelice, se possibile, rispetto alle stragi compiute dai nazisti in Italia. Se infatti le indagini sui tedeschi sono ripartite, seppure con un ritardo di ben oltre mezzo secolo dai fatti e tra enormi difficoltà dopo la scoperta dell’Armadio della vergogna, per riesumare e dare un nuovo impulso alle inchieste per i crimini degli italiani si è dovuto aspettare ancora molti anni.

 “Mi è toccato di assistere a scene capaci di farti perdere la ragione. Certo erano soldati ragazzini, 18-20 anni, ma alla fine erano capaci di metterti al muro. Che ci potevamo fare, la situazione era questa”.

Ci sono volute delle inchieste giornalistiche, la testardaggine dei parenti delle vittime e perfino un esposto dall’interno della stessa magistratura militare per far aprire un procedimento, ma ormai era troppo tardi. Le “carte” riguardanti i crimini commessi dai militari italiani in Grecia e nella ex Jugoslavia non stavano dentro un armadio con le ante rivolte verso il muro, ma in diversi archivi. Quegli atti avrebbero consentito di svolgere proficuamente degli accertamenti giudiziari, e forse qualcuno sarebbe potuto finire alla sbarra, esattamente come avvenuto per i criminali di guerra tedeschi. Ma ormai il tempo era scaduto: tutti i potenziali imputati erano morti.

E il procedimento è stato una prima volta archiviato. Nonostante ciò, un magistrato militare, sollecitato dal nipote di una delle vittime, ha riesumato tempo dopo il fascicolo, svolgendo nuove e più circoscritte indagini, mirate questa volta a far luce esclusivamente sulla strage di Domenikon. Gli accertamenti sono durati anni – e nel libro si dà conto di ogni sviluppo – ma il risultato non è stato diverso. Nessun colpevole per Domenikon.

La vicenda giudiziaria si è definitivamente chiusa nel 2018. Il gip militare ha accolto la richiesta di archiviazione del pm perché i responsabili sono tutti morti, ormai, o rimasti ‘ignoti’. Un proscioglimento di cui il procuratore militare Marco De Paolis ha chiesto irritualmente scusa ai familiari delle vittime, con una lettera riportata nel libro. “Abbiamo percorso tutte le strade possibili, lo sforzo investigativo è stato grande, ogni indizio è stato sfruttato. Ma ci siamo scontrati con ostacoli insuperabili a causa del lungo tempo trascorso. Un tempo troppo lungo”, ha scritto De Paolis. “Provo amarezza per non aver potuto dare a Voi, alla Vostra comunità, la risposta positiva di giustizia che vi è dovuta. E di questo mi scuso”.

Nella prefazione al volume gli storici  Lutz Klinkhammer e Filippo Focardi analizzano la vicenda della strage di Domenikon e la punizione dei criminali di guerra italiani: Il libro di Vincenzo Sinapi alza il velo su questo aspetto della guerra negletto dai mass media e rimasto pressoché sconosciuto all’opinione pubblica italiana, portata piuttosto a riconoscersi nello stereotipo benevolo e autoassolutorio del “bravo italiano” solidale coi popoli oppressi e salvatore degli ebrei – scrivono Klinkhammer e Focardi –  ma allo scuro dell’altro lato della medaglia, quello appunto che ha visto i soldati italiani rivestire anche i panni dell’occupante indesiderato e del carnefice impietoso. Com’è il caso della strage di Domenikon, in Tessaglia, ricostruito in questo volume con grande precisione analitica e sacrosanta passione civile: una rappresaglia effettuata nel febbraio 1943 dai soldati e dalle camicie nere della Divisione Pinerolo che incendiarono il piccolo villaggio greco e passarono per le armi tutti i suoi abitanti maschi, eccetto i ragazzini e i più anziani. A ragione l’autore denuncia la mancata punizione dei criminali di guerra italiani – presenti a centinaia nelle liste delle Nazioni Unite – come un “caso clamoroso di giustizia negata” e ripercorre le tappe di tale fallimento: dagli anni immediatamente successivi alla fine della guerra quando i governi italiani rivendicarono il diritto di processare in Italia i propri criminali di guerra (ostacolandone l’estradizione prevista dagli accordi internazionali) ma insabbiarono tutti i procedimenti nel 1951, fino al tentativo infruttuoso di riavviare il corso della giustizia nel 2008 per iniziativa del giudice Sergio Dini, naufragato definitivamente dieci anni dopo, nel 2018, con l’archiviazione dell’inchiesta sulla strage di Domenikon, condotta con determinazione dal procuratore militare Marco De Paolis (già protagonista dei processi contro i criminali di guerra tedeschi), con una squadra di polizia giudiziaria, impotente però di fronte ai limiti imposti all’indagine dal lungo spazio temporale intercorso dall’accadimento dei fatti.

Vincenzo Sinapi,  caporedattore aggiunto dell’ANSA, vice capo delle Cronache italiane. Giornalista professionista da 30 anni, diviso tra la cronaca giudiziaria e il lavoro da inviato, soprattutto di guerra. Oltre a diversi volumi collettivi sulle missioni dei militari italiani all’estero, ha scritto per Lindau “Nassiriya la vera storia”, sull’operazione Antica Babilonia in Iraq e “Ufo i dossier italiani” (Mursia), un volume sulle segnalazioni di Oggetti volanti non identificati raccolte nell’archivio riservato del Reparto generale sicurezza dell’Aeronautica militare.

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