Geopolitica

Il Grande Medio Oriente, il progetto Usa di democratizzazione della regione mediorientale

Con l’attacco a Pearl Harbor ad opera dei Giapponesi nel settembre del 1941, gli Stati Uniti compresero che l’egemonia continentale non avrebbe garantito la sicurezza e quell’atto di guerra fu determinante per le scelte in politica estera . Analogamente l’attentato alle torri gemelle di New York dell’11 settembre 2001 ha profondamente modificato l’azione della politica estera americana nel Medio Oriente.

Gli attentati di New York dell’11 settembre 2001 fanno crollare la percezione di sicurezza negli Stati Uniti

Questo atto di terrorismo ha scosso la società civile americana, è stato percepito come un evento senza precedenti in rapporto al numero delle vittime, ai danni provocati e all’effetto psicologico che eserciterà per molto tempo sulla collettività americana.

Quando crollarono le torri gemelle, crollò anche la percezione di sicurezza e d’invulnerabilità del sistema americano, aggravato dal fatto che non c’era più un tradizionale nemico visibile da combattere e questa situazione contribuì ad alimentare l’incertezza per l’impossibilità ad attuare strategie per prevenire altri attacchi. Al termine della guerra fredda molti storici e analisti avevano sostenuto il predominio americano nel mondo post-guerra fredda, in quanto il grande nemico sovietico era scomparso ma ora si materializzava un nemico invisibile che riusciva a colpire nel cuore della società civile americana e metteva in discussione la sicurezza interna.

Era stato compiuto un attacco senza precedenti alle infrastrutture della società e ciò comportava un’ampia modifica nell’ azione strategica americana, in particolare in Medio Oriente dove fu identificato il punto focale dell’area che destabilizzava la sicurezza mondiale. Fu identificata un area in cui, secondo gli analisti dell’amministrazione Bush, bisognava intervenire per garantire la sicurezza mondiale.

L’Asse del male: Iran, Iraq e Corea del Nord

Quando Bush pronunciò il suo primo discorso sullo Stato dell’Unione, nel gennaio del 2002, fu chiara la strategia per fronteggiare il terrorismo, non vi erano solo i gruppi terroristici che minacciavano gli Stati Uniti ma c’erano gli Stati canaglia quali l’Iran, l’Iraq e la Corea del Nord. «Queste associazioni criminali sotterranee – che includono Hamas, Hezbollah, la Jihad islamica e Jaish-i-Mohamed – si muovono in giungle e deserti remoti e si nascondono nei centri delle grandi città». Dichiarò che questi regimi avrebbero posto un pericolo grave e crescente non solo per gli Stati Uniti, ma anche per gli paesi alleati.« Stati come questi, e i terroristi loro alleati, – concluse Bush – costituiscono l’asse del male.

Quando Bush parlò davanti al Congresso, la portata del suo intervento fece comprendere che gli Stati Uniti avevano cambiato rotta nella politica estera e avevano identificato una nuova grande minaccia per il loro paese. Il pericolo non era più solo il terrorismo, ma anche la tirannia e le armi di distruzione di massa. Identificò i nemici con “l’asse del male” e ammonì che non sarebbe rimasto «in attesa degli eventi mentre i pericoli si avvicinavano sempre più». Non specificò in che modo l’America avrebbe affrontato questa minaccia e quale azione strategica avrebbe messo in atto per evitare che i regimi più pericolosi del mondo minacciassero gli Stati Uniti.

Ma fu un segnale che l’Amministrazione lanciava all’opinione pubblica internazionale nel senso ci sarebbe stato un forte cambiamento nella politica estera americana, poiché bisognava colpire gli Stati canaglia e farlo in modo preventivo per evitare di essere colpiti.

Come confermò Donald Rumsfeld, qualche settimana dopo, «la migliore, in alcuni casi, l’unica difesa è una buona offesa». In un discorso tenuto a West Point il I giugno 2002 Bush formulò la strategia del dopo 11 settembre, sostenendo che il mondo non sarebbe stato al sicuro dai terroristi fino a quando in Medio Oriente non sarà esportata la democrazia

A West Point, Bush dichiarò, che l’America avrebbe imboccato una nuova strada e si sarebbe lasciata alle spalle le strategie utilizzate durante la guerra fredda, le vecchie teorie del contenimento e delle deterrenza venivano seppellite dai nuovi eventi del XXI secolo. La deterrenza – ovvero l’avvertimento di una rappresaglia massiccia contro altre nazioni – non significa niente contro le reti del terrore che tramano nell’ombra, senza alcuna nazione né cittadini da difendere. Dichiarò che anche la strategia del contenimento apparteneva al periodo della guerra fredda e non sarebbe stata più utilizzata. «Il contenimento non è attuabile quando dittatori squilibrati dotati di armi di distruzioni di massa possono montare queste armi su missili o fornirle segretamente a gruppi terroristici loro alleati ».

Per Bush era cambiata un’ epoca, ora le vecchie strategie della guerra fredda non sarebbero state efficace per combattere il terrorismo. Il nemico non era più visibile e, per fronteggiare la
minaccia, occorreva abbandonare le tattiche di difesa ed attaccare il nemico prima che potesse agire. «Dobbiamo portare la guerra a casa del nemico, rovinare i suoi piani e affrontare le minacce peggiori prima che queste emergano. Nel mondo in cui ci troviamo, la sola strada per la salvezza è la strada dell’azione. E questa nazione agirà».

L’attacco precauzionale era diventato il principio cardine della politica estera americana

Bush aveva enunciato la nuova strategia americana per fronteggiare il terrorismo, un attacco precauzionale, che serviva per difendere la libertà degli Stati Uniti.
Per la prima volta l’amministrazione enunciava in pubblico la nuova strategia dell’attacco precauzionale e fu evidente la frattura evidente con le posizioni politiche precedenti. Resa pubblica dal The National Security Strategy of the United States of America, il 17 settembre 2002, la nuova strategia poneva tre obiettivi per difendere e preservare la pace «combattendo i terroristi e i tiranni», «costruendo ottimi rapporti con le grandi potenze e incoraggiando le società libere e aperte in ogni continente ».

Il documento confermò sostanzialmente l’essenza del discorso di Bush a West Point, la deterrenza non avrebbe potuto funzionare poiché ci si trovava di fronte «un nemico terrorista, la cui tattica dichiarata consiste nella distruzione gratuita e nel colpire gli innocenti». Per evitare questi pericoli gli Stati Uniti avrebbero dovuto agire in modo precauzionale per garantire la sicurezza nazionale, l’inerzia avrebbe aumentato il rischio di essere colpiti. Per anticipare o prevenire tali azioni ostili da parte dei nostri avversari, gli Stati Uniti avrebbero dovuto, se necessario, agire precauzionalmente.

Secondo l’inviato del New York Times, Michael Gordon, l’attacco precauzionale era diventato il principio cardine della politica estera americana. In tal modo gli Stati Uniti avevano dichiarato  guerra al terrorismo. Secondo lo storico Sir Michael Howard, in un commento al The Sunday Times, «questa nuova dottrina costituisce uno dei più importanti documenti della storia americana, e le sue implicazioni hanno appena cominciato a manifestarsi ».

Di fronte a questi nuovi attacchi terroristici, gli analisti del Pentagono presentavano nuove strategie per fronteggiare il nemico. In questa nuova guerra le strategie e le tattiche erano profondamente diverse, non era più  una guerra tradizionale, fu inaugurata  l’era dei conflitti asimmetrici.

Gli Stati Uniti inaugurano l’era dei conflitti asimmetrici

Con i conflitti asimmetrici vi è una sostanziale differenza qualitative tra i mezzi impiegati e lo stile. Gli Stati Uniti esercitano una supremazia militare estesa a tutti i settori della guerra convenzionale e i nemici ricorrono a mezzi non convenzionali, asimmetrici, cercando di evitare lo scontro frontale, che diventerebbe inevitabilmente impossibile da affrontare, sferrando i propri attacchi sui punti più vulnerabili della società civile colpendo l’orgoglio nazionale. I mezzi per attuare questa guerra asimmetrica sono il terrorismo psicologico, l’influenza dei media e internet. Ma anche le organizzazioni clandestine come le mafie, i cartelli della droga e traffici illegali sono strutture fluide e orizzontali simili ad Al Qaeda. Ed è proprio dalla fine della guerra fredda che si sono moltiplicate le minacce transnazionali, piccole guerre criminali.

Bush rivendicava il ruolo imperiale degli Stati Uniti e tutte le lotte di resistenza nazionale, tra cui quella di Hamas e di Hezbollah, venivano assimilate al terrorismo. Tutti coloro che non erano alleati degli Stati Uniti venivano considerati terroristi, senza alcuna differenziazione. La dichiarazione di guerra al terrorismo mediante l’adozione della teoria della guerra preventiva non prevedeva distinzioni. Fu una distinzione forte perchè i movimenti anticolonialistici classici e i regimi laici venivano assimilati ad Al Qaeda e ad altre reti criminali. L’amministrazione Bush aveva tracciato una linea di spartizione ideale, da una parte gli Stati Canaglia dall’altra le Nazioni civili.

Come sostiene Gilles Kepel, queste dichiarazioni unificavano tre questioni differenti in un unico obiettivo «confondendo deliberatamente delle azioni criminali (gli attentati), degli atti politici ( messi in opera da Hamas in Israele e Palestina e Hezoballah in Libano) e delle strategie di Stati ( Corea del Nord, Iran e Iraq) in un’unica categoria: il male». ( Fitna, Guerra nel cuore dell’Islam, Laterza 2006)

Utilizzando l’espressione Asse del male, il presidente Bush aveva creato un legame inesistente tra diversi entità. Venivano criminalizzati e posti sullo stesso piano movimenti politici, Stati e Al Quaeda. La lotta diventa quindi ideologica, politica e militare. Unificando l’insieme dei suoi nemici, Bush voleva ottenere un consenso universale tale da permettere agli Stati Uniti di rimodellare il Medio Oriente.

Bush aveva assimilato Al Qaeda e altri gruppi criminali ai movimenti anticolonialistici e i regimi laici in un unico obiettivo nella guerra al terrorismo, ma i movimenti di resistenza nazionale come Hamas, Fatah, Hezbollah erano stati demonizzati e assimilati ad Al Qaeda e presentati come frutto del fascismo islamico, invece di essere analizzati nel quadro dei processi politici che mirano alla liberalizzazione dei loro territori. Anche questi gruppi ricorrono al terrorismo ma questo non è sufficiente per assimilarli alla guerra asimmetrica, hanno obiettivi territoriali definiti e sono disponibili ad accettare ordinamenti politici. Non c’è nessuna correlazione tra i questi tipi di organizzazioni.

Le differenza tra loro sono evidenti, Al Qaeda non è un’organizzazione terroristica strutturata, solo tra la fine del 1996 e la fine del 2001 ha offerto un punto di riferimento a diversi elementi. Osama Bin Laden è stato un punto di riferimento poichè è riuscito a focalizzare in Afghanistan vari filoni della militanza islamica, riuscendo a fornire strutture, competenza, addestramento, denaro rifugio a gruppi e individui. Secondo uno studioso arabo, i radicali musulmani che arrivano in Afghanistan tra il 1982 e il 1992 furono 35.000 provenienti da 43 paesi islamici del Medio Oriente, dell’Africa settentrionale, orientale, dall’Asia centrale e dall’Estremo oriente. Era nata una regione arabo musulmana. Ma questa legione era appoggiata dagli Stati Uniti che avevano fornito armi ai Mujahidin afgani contro l’invasione sovietica del 1979. Nel pieno contrasto della Guerra Fredda, l’amministrazione Reagan voleva dimostrare che l’intero mondo islamico combatteva contro l’Unione Sovietica accanto ai Mujahidin e agli americani. Nessuno degli attori si è reso conto – scrive Ahmed Rashid – che questi volontari avevano altri progetti, che alla fine li avrebbero condotti a reindirizzare il loro odio per i sovietici contro i propri regimi e contro gli Stati Uniti. I campi si sono trasformati in Università dove si creavano legami ideologici e si diffondeva il radicalismo islamico.

Le teorie dei neoconservatori

Ma la dottrina Bush non era il frutto di nuove idee, ma semplicemente una combinazione delle teorie elaborate dai neoconservatori che già da tempo premevano per un cambiamento e un intervento in Medio Oriente. Questi temi che ricorrono nella Dottrina Bush erano presenti  nel dibattito americano già da diversi anni.

La politica estera dell’amministrazione Bush era stata fortemente influenzata dai neoconservatori, un gruppo di ideologici, che avevano elaborato le loro teorie durante il periodo di Ronald Regan, ma che alla fine della Guerra Fredda furono accantonate perché ritenute eccessivamente radicali e non applicabili in quel periodo storico.
I neoconservatori non rappresentano una parte dell’opinione pubblica o di una particolare scuola di pensiero, ma le loro idee e le loro teorie erano state recepite dall’amministrazione americana, poiché molti di loro ricoprivano incarichi importanti o perché erano consiglieri. Il loro obiettivo era il rimodellamento del Medio Oriente .

Considerando l’emotività del popolo americano dopo gli attentati, è stata colta l’occasione per presentare vecchi piani elaborati in passato che potevano essere messi in pratica. In tal modo i neocon sono riusciti a far passare, nell’emozione del momento, una linea politica già tracciata da anni.

Negli anni Novanta vi è una forte critica nei confronti della politica estera americana ed uno dei principali accusatori di questa linea definita morbida era Paul Wolfowitz. Funzionario presso il Policy Planning Staff del Pentagono durante l’amministrazione Carter, discepolo del matematico Wohlstetter, Wolfowitz presentò un rapporto sulle minacce alla sicurezza nel Golfo Persico.
Elaborò un documento Linee Guida per la pianificazione della difesa, che avrebbe segnato un cambiamento nella politica militare in Medio Oriente .
Il documento si basava su alcuni presupposti fondamentali, il principale obiettivo era quello di prevenire l’emergere di una superpotenza rivale, salvaguardando gli interessi degli Stati Uniti e promuovendo i valori americani. Si prevedevano azioni preventive nei confronti di Paesi che avevano sviluppato armi di distruzione di massa e si auspicava un forte intervento militare degli Usa che avrebbe potuto garantire la pace e la stabilità internazionale. Questo documento, reso pubblico dal New York Times e dal Washington Post, scatenò una forte reazione da parte dei Democratici e della stessa amministrazione Bush. Il documento finale fu totalmente stravolto rispetto alla bozza elaborata da Wolfowitz.

Queste tesi furono riprese alla metà degli anni Novanta da una coalizione di neoconservatori. Critici nei confronti delle Amministrazioni Bush Senior e Clinton, i neoconservatori erano convinti che gli Stati Uniti avrebbero dovuto esercitare la propria supremazia militare. Convinti assertori della superiorità morale degli Stati Uniti e della necessità di intervenire per salvaguardare la stabilità e la sicurezza mondiale, fondarono il Progetto per il nuovo secolo Americano (Pnac) . Criticavano aspramente la politica estera e militare degli Stati Uniti, proponendosi per il cambiamento di questo orientamento. «Miriamo a difendere le cause della leadership globale dell’America e a mobilitare sostegno in suo favore», scrivevano nella dichiarazione di principi.

Sostenevano che gli Stati Uniti rischiavano di sprecare l’opportunità di perdere la sfida di forgiare un nuovo secolo a favore degli interessi americani. Alla fine del XX secolo la supremazia sul campo era il frutto di una favorevole politica delle amministrazioni precedenti nel campo degli investimenti militari e nei risultati della politica estera. Ma ammonivano, i tagli alla spesa per la difesa e per la politica estera e una leadership incostante rischiava di non sostenere la supremazia americana nel mondo. Durante l’amministrazione Reagan era stato costituito un apparato militare forte e pronto a misurarsi con le sfide presenti e future, l’America doveva continuare a sostenere il proprio ruolo nel mantenere la pace e la sicurezza in Europa. «La storia del Ventesimo secolo dovrebbe averci insegnato che è importante plasmare gli eventi prima che diventino disastrosi. La storia di questo secolo dovrebbe averci insegnato ad abbracciare la causa della leadership americana». Si rivolsero, in una lettera aperta, al presidente Clinton esortandolo ad invertire la direzione della sua politica estera ed intervenire in Iraq.

Ma fu con l’avvento di George Bush alla casa Bianca che l’attività di questi ideologici trovò un intenso sviluppo . Nel 2000 il Pnac pubblicava due testi che diventeranno la base della dottrina di Bush. In un volume che raccoglieva alcuni saggi di influenti neoconservatori, i curatori William Kristol e Robert Kagan sostenevano che sotto l’apparente calma dell’ordine internazionale, si stava verificando un’erosione . Gli Stati Uniti non avevano preservato agli inizi degli anni Novanta l’egemonia globale, dovevano proteggere questo sistema internazionale da qualsiasi minaccia che potesse metterlo in discussione. «Nel frattempo, gli Stati Uniti hanno lasciato che il proprio potere militare si deteriorasse al punto in cui la propria capacità di difendere i propri interessi e di scoraggiare provocazioni future ormai è in dubbio»(Present Dangers: Crisis and Opportunities Foreign and Defense Policy, Encounter Books, 2000)

In dieci anni, a partire dal 1989, il bilancio della difesa e gli stanziamenti destinati agli armamenti aveva subito una notevole riduzione. Ed era cresciuto notevolmente il divario tra gli obiettivi strategici degli Stati Uniti e i mezzi necessari per raggiungerli. «Solo se gli Stati Uniti saranno ben protetti dal ricatto delle armi nucleari, biologiche e chimiche, saranno in grado di plasmare l’ambiente internazionale in modo conforme ai loro interessi e ai loro principi».

L’idea egemonica di impedire l’affermazione di un forte competitore mondiale che potesse minacciare la stabilità mondiale e l’ordine americano, enunciata da Wolfowitz nel 1992, divenne la base della nuova dottrina dell’Amministrazione Bush.

Duunque, gli eventi dell’11 settembre 2001 hanno creato le condizioni per l’applicazione delle idee e dei progetti dei neoconservatori che erano già radicate da tempo. I neoconservatori sono riusciti a far approvare una serie di progetti già individuati da molto tempo: difesa antimissile, aumento dei fondi militari, guerra contro l’Iraq. La nuova politica estera americana seguiva una linea ideologica prodotta dai neoconservatori che riuscirono a far passare, nell’emozione del momento un programma già tracciata da tempo. Gli attentati terroristici convinsero l’Amministrazione Bush ad intervenire.

«E’ stato l’11 settembre, con tutta una serie di circostanze – alcune logiche conseguenze, altre contigenti-, che ha fatto di una corrente, considerata brillante ma irrealistica e irresponsabile, l’ispiratrice della retorica e di gran parte dell’attuale politica americana », scrivono Pierre Hassner e Justin Vaisse in Washington e il mondo. Il dilemma di una superpotenza (Il Mulino, 2003)

Il dibattito pubblico veniva orientato da Tink Tank che lanciavano idee e alimentavano i mass media ed influenzavano la questione mediorentale a discapito di uno sviluppo scientifico obiettivo. Si giustificava l’attacco all’Iraq sostenendo che rappresentava una grave e costante minaccia per la democrazia poichè era dotata di armi di distruzione di massa.

Il progetto di democratizzazione del Medio Oriente

I piani delineati alla Casa Bianca avevano come obiettivo primario la disintegrazione degli equilibri createsi nell’area mediorientale  e l’impiantazione di una democrazia artificiale. Secondo queste impostazioni, le cause di una situazione di disagio nell’area mediorientale era da ricercare nel consolidamento dei regimi autoritari che avevano tratto beneficio dalla produzione ed esportazione del petrolio. I neoconservatori consideravano instabile tutto il resto del mondo fino a quando non fosse stata esportata la democrazia in Medio Oriente.

Quando Bush dichiarò di liberalizzare le società in Medio Oriente, nel 2002, non fece cenno al concetto di democratizzazione dell’area, in quel periodo l’argomento principale era la giustificazione dell’attacco all’Iraq.

La promozione della democrazia ( a Forward strategy) è una strategia nuova dell’azione internazionale degli Stati Uniti, partiva dalla convinzione che soltanto in questo modo si potrà sdradicare il terrorismo internazionale. Secondo questa visione, la democratizzazione è l’unico rimedio possibile per evitare la connessione tra organizza zioni terroristiche, proliferazioni delle armi e Stati non democratici.

La nuova strategia viene annunciata da Bush, in un discorso di fronte al National Endowment for Democracy, un organizzazione bipartisan, il 6 novembre 2003. Secondo questa nuova impostazione bisogna lottare non solo contro il terrorismo per costruire delle società libere ma esportare la democrazia
«In molti paesi del Medio oriente dichiarava Bush – Paesi di grande importanza strategica, la democrazia non si è ancora radicata ». Sosteneva che il Medio Oriente era afflitto da povertà e il suo sviluppo non è in linea con l’economia del mondo occidentale. «Un rapporto recente di alcuni studiosi arabi indica che l’ondata globale di democrazia ha appena sfiorato gli Stati arabi. Il rapporto continua dicendo che questo deficit di libertà mina alla base lo sviluppo umano ed è una delle manifestazioni più dolorose del ritardo nello sviluppo politico. Il deficit di liberta descritto ha delle conseguenze terribili per i popoli del Medio Oriente e per il mondo intero. In molti paesi del Medio Oriente, la povertà è profonda e diffusa, le donne sono senza diritti e senza educazione. Intere società sono nella stagnazione mentre il mondo si muove in avanti. Questo non è il fallimento di una religione o di una cultura, ma quello di una dottrina politica ed economica».

Prevedeva che senza l’esportazione della democrazia non ci sarebbe stato lo sviluppo economico. «Fino a quando il Medio Oriente sarà un posto dove la libertà non fiorisce, esso rimarrà stagnante e pieno di risentimenti e di violenza pronto per essere esportata. E questo fatto, insieme con la diffusione di armi che possono causare danni catastrofici a noi e ai nostri alleati, renderebbe lo status quo un atto sconsiderato».

Annunciò la rottura degli equilibri creatisi nel Medio Oriente ed un cambiamento di rotta della politica estera statunitense. «Gli Stati Uniti hanno dunque adottato una nuova politica, una politica diretta di libertà in Medio Oriente».

Questa nuova teoria delle democratizzazione artificiale rimaneva l’unico rimedio possibile per spezzare le reti del terrorismo, la proliferazione delle armi e le reti del terrorismo.
Per consolidare la pace nel mondo è condizione indispensabile giungere ad una pace globale in Medio Oriente e democratizzare il mondo arabo. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto mettere in discussione lo status quo in Medio Oriente qualunque siano i rischi da correre. Per gli americani il mondo arabo è il malato del XXI secolo.

Il programma di democratizzazione in Medio Oriente fu esposto nel dettaglio da Victor Davis Hanson in Democracy in The Middle East pubblicata dalla rivista dei neoconservatori The Weekly Standard . (21 ottobre 2002)
Secondo Hanson, la sfida dell’America non può essere l’eliminazione dell’Iraq delle armi di distruzione di massa ma la successiva riconfigurazione del Medio Oriente. L’11 settembre ricorda che l’inerzia può essere mortale. Gli eventi degli ultimi anni dimostrano che sia i governi estremisti che moderati sono sullo stesso livello, cercano di sopravvivere attraverso la corruzione, l’oppressione, la censura. Il Medio Oriente è malato e può solo peggiorare se lasciato solo. Per Hansen non è possibile continuare a trattare i sintomi ma bisogna trattare la malattia. L’alternativa della vecchia Realpolitik è una nuova strategia che possa creare le condizioni per una crescita economica in Medio Oriente. Piuttosto che temere l’incertezza è meglio avere un caos temporaneo che una sabilità. L’uso del potere deve essere decisivo per produrre una rotta non una situazione di stallo. In Medio Oriente è stato provato tutto tranne la libertà.

In sostanza, secondo i neocon la regione mediorientale era intrappolata nell’autocrazia, nella dittatura e nell’arretratezza, schiacciato dai regimi repressivi e non rappresentativi. L’Iraq era considerata la prima tessera del dominio mediorientale la cui caduta avrebbe alimentato una serie di cadute a cascata, dalla Siria all’Iran all’Arabia Saudita. Queste opinioni molto influenti si unirono alle vecchie teorie elaborate dai neoconservatori e contribuirono ad alimentare un clima favorevole ad un intervento diretto per la risoluzione dei conflitti.

La nuova politica consisteva nel promuovere la democrazia e libertà in Medio Oriente, dove dominava il fondamentalismo islamico responsabile, a loro avviso, di aver creato le condizioni per un attacco terroristico negli Stati Uniti.

Gli Usa  annunciano il progetto Grande Medio Oriente

Allo scopo di dare un nuovo slancio alla politica mediorientale degli Stati Uniti, a partire dal discorso di Bush prende corpo l’idea di un progetto denominato Grande Medio Oriente.
A tal proposito l’Amministrazione Bush lancia, nella primavera del 2004, un progetto di riforme denominato Grande Medio Oriente (Greater Middle East). Fu identificata una regione che comprendeva i Paesi del Mondo arabo, più Pakistan, Afghanistan, Iran, Turchia e Israele. Gli obiettivi di questo progetto consistevano nella promozione della democrazia , nello sviluppo della conoscenza e del rilancio delle opportunità economiche. Il piano prevedeva la promozione della strategia della libertà attraverso il quale l’espansione dei diritti politici e di partecipazione poltica nel mondo musulmano.

Nonostante la disomogeneità geografia e culturale, l’amministrazione Bush individuava quest’area strategica dove si sviluppa il terrorismo islamico. Per disinnescare questa minaccia gli stati Uniti avevano elaborato una strategia atta a bloccare la minaccia islamica.

In previsione del vertice del G8 a Sea Island fu distribuito agli sherpas dei leader un documento che metteva in rilievo il livello di analfabetismo, povertà e disoccupazione lanciando un allarme ai membri del G8 i cui interessi sarebbero stati minacciati da un considerevole aumento del terrorismo internazionale .
Secondo questo documento questa regione rappresentava una sfida unica per la comunità internazionale. Il documento specificava che erano stati individuati tre deficit del mondo arabo, deducibili dai Rapporti Onu sulla situazione in Medio Oriente.

I tre deficit individuati erano: mancanza di libertà, conoscenza e emancipazione delle donne e questi minacciavano gli interessi nazionali di tutti i membri del G8. Tale situazione avrebbe condotto ad un incremento di estremismi, terrorismo e crimini internazionali. I dati riportati sono netti. Il rapporto enunciava lo stato di povertà del mondo arabo: il Pil dei 22 paesi della Lega araba era inferiore a quello della Spagna, i dati constatavano che c’era un forte analfabetismo, tasso di disoccupazione e condizioni delle donne. Questi dati si riferivano alla situazione economica ma rimaneva quella politica, sociale e relativa ai diritti delle donne.

Continuando in questa direzione, secondo gli estensori del documento, ci sarebbe stata una minaccia per la stabilità della regione e per gli interessi comuni dei membri del G8. L’alternativa percorribile rimaneva il percorso della riforma. Il documento proponeva di promuovere la democrazia e il buon governo, espansione delle opportunità economiche, costruzione di una società della conoscenza ed espansione delle opportunità economiche.“Questa priorità di rifoma sono le chiavi per lo sviluppo della regione: la democrazia e la buona amministrazione sono la struttura dentro la quale lo sviluppo prende corpo. Gli individui che hanno studiato sono gli agenti dello sviluppo. Infine le imprese ne sono il motore”.

Veniva individuato nella mancanza di democrazia e libertà nel Grande Medio Oriente per il fiorire delle iniziative individuali. Il documento forniva alcune indicazioni ai membri del G8 per fronteggiare questa situazione : elezioni libere tra il 2004 e il 2006, lavorare con quei paesi che dimostrano una serie volontà di tenere elezioni libere e corrette.
Il G8 avrebbe potuto fornire assistenza tecnica attraverso scambi o di seminari, di stabilire o rafforzare commissioni elettorali indipendenti per monitorare le elezioni, di rispondere a ricevere reclami e segnalazioni. Fornitura di assistenza tecnica per la registrazione dei votanti e di educazione civica per la richiesta dei governi. Al fine di rafforzare il ruolo dei parlamentari e di democratizzazione dei paesi del G8 scambi di parlamentari con particolare attenzione all’elaborazione della legislazione, l’attuazione di riforme legislative e giuridiche.

La reazione del mondo arabo fu negativa. Il piano per il Grande Medio Oriente provocò paura e scetticismo sia nell’opinione pubblica sia nelle cancellerie.

Il progetto del Grande Medio Oriente produce il  disordine nella regione mediorientale e non conduce al processo di democratizzazione

Secondo il piano americano questo nuovo Grande Medio Oriente avrebbe dovuto reggersi in pace attraverso le logiche economiche della democrazia del mercato e dell’economia liberale. Il progetto non prevedeva di favorire dei meccanismi di crescita e sviluppo nell’area ma di agire con la forza per modificare l’ordine. Bisognava agire militarmente contro quello che è stato percepito l’origine dei problemi nel mondo. Il sistema regionale mediorientale produceva delle situazioni ritenute insopportabili da Washington come la persistenza dei regimi autoritari, l’esacebazione del conflitto palestinese, l’instabilità della regione petrolifera del Golfo, la presenza di monarchi del Golfo. Queste problematiche ritenute dannose agli Stati Uniti portavano  a modificare e trasformare l’area per impedire che queste problematiche potessero influire.

Invece gli effetti questo piano hanno prodotto risultati completamenti diversi con conseguenze irreversibili per l’ordine regionale mediorentale.
La guerra in Iraq era stata programmata ed effettuata e l’Iraq avrebbe rappresentato un modello da esportare in tutta la regione. In realtà il piano americano, invece di ottenere i risultati sperati, ha fatto emergere nella sua complessità tutte le conseguenze negative di una politica mediorientale fallimentare.
Il progetto di democratizzazione del Medio Oriente attraverso la guerra in Iraq e la campagna in Afganistan ha definitivamente fatto saltare gli equilibri, condotto il Medio Oriente sull’orlo del disordine totale, facendo emergere dalle ceneri del vecchio ordine regionale alcune questioni irrisolte: l’emancipazione degli sciiti, l’ascesa dell’Iran, lo scontro etnico in Iraq, la vittoria di Hamas nella Striscia di Gaza, la guerra in Libia, ma tanti altri focolai di crisi.
Coloro che pretendevano di rimodellare il Medio Oriente hanno modificato le dinamiche della regione ma non hanno condotto  i Paesi arabi al processo di democratizzazione artificiale progettato nei laboratori dei neoconservatori.

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